Eurafrica. Una proposta coraggiosa per il futuro

Siamo all’inizio di un mondo che cambia: dagli stati-nazione ai geopoli-continenti

Oggi, nel 2020, secondo il Fondo Monetario Internazionale, nella geopolitica attuale si fronteggiano tre blocchi: gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Cina.
I tre blocchi in termini di PIL sono per lo più vicini: gli USA con il 24%, l’UE con il 21% e la Cina con il 17%.
La popolazione, invece, è assolutamente diversa, milioni in Occidente miliardi in Cina così come il pro-capite nominale: da 67.000 dollari all’anno per abitante Usa, a 38.000 dollari per un europeo e 10.500 per un cinese.
Aggiungo l’Africa, visto che ne parleremo in profondità: un africano ha un reddito di solo 1.900 dollari, un decimo della Cina e un trentesimo degli USA, per capirci.

Questi sono i blocchi di partenza del nostro Tommaso alle prese con la conquista del mondo. Questi sono i tre grandi blocchi mondiali – i geo-poli- che stanno per iniziare un grande scontro, con un’infinità di altri attori che si dimenano sullo sfondo, creando e sfasciando alleanze.
Ma non è sempre stato così.

 

Nel vicino passato fino ad oggi, gli ultimi 50 anni sono stati anni duri, ma alla fine, visti in retrospettiva, belli e pacifici.
Non ci sono state grandi guerre, le invenzioni sono state tante, è nato Internet e la disruption tecnologica e sono state scoperte medicine che hanno alzato la aspettativa di vita di più di dieci anni.
Dopo la ripresa del dopoguerra, si è innescata la guerra fredda tra due visioni del mondo: quella occidentale, basata sul mercato, sull’imprenditoria privata, sullo sviluppo dei diritti umani e sulla ricerca della felicità, e quella comunista, che voleva un’uguaglianza al cento per cento.
Comunque, nonostante lo scontro, gli ultimi 50 anni hanno decretato una crescita del PIL mondiale incredibile.
Dal 70 ad oggi: la popolazione è raddoppiata, arrivando a 7 miliardi e 900 milioni e il pil pro-capite è aumentato di 15 volte.

Insomma, una cavalcata incessante che ha reso felici tutti i baby boomer del mondo occidentale, i quali, peraltro, mentre imperversavano nelle praterie della ricchezza, non si sono resi conto che il baratro era a pochi passi da loro.
Nella vera guerra fredda tra mercato e comunismo fino all’89 ha vinto il mercato libero e sulle ceneri del secondo tutti gli equilibri si sono riallineati.

Si è aperta, allora, una nuova corsa dettata dalla necessità della Cina di sfamare un miliardo di persone (crescita che Mao, preveggente, aveva bloccato con la legge del figlio unico), aiutata da un’ondata di neoliberismo lanciata da Reagan e Tatcher.
È iniziata così la corsa alla globalizzazione delle merci e del mercato spinta da questi due booster privi stavolta colore ideologico o, almeno, così sembrava allora.

I nostri baby-boomer si sono infilati senza troppo discernimento, ma con molta avidità, dentro la nuova bolla con prodotti e merci fabbricate a bassissimo prezzo e guadagni altissimi per gli avidi occidentali (almeno per quelli del 1% più ricco, per intenderci).
Il risultato è stato che i vasi comunicanti hanno fatto il loro dovere: hanno dato all’Asia e hanno tolto alla classe media occidentale.

Il PIL è cresciuto molto in Asia (in Cina da 100 dollari all’anno nel ‘70 a 10.700 dollari pro-capite ora) e molto, molto meno in occidente, colpendo quei ceti a reddito fisso o con lavori in obsolescenza.
La complicità di altri fenomeni, tutti occidentali, come la rivoluzione tecnologica, il nuovo approccio ambientalista e il prolungamento dell’invecchiamento, hanno poi fatto la loro parte.
La classe media non ha incrementato il suo tenore di vita, che è fermo ai valori di reddito del 1990 e i figli non avranno quello che hanno avuto i loro nonni.

Il risultato è stato che la classe media si è arrabbiata e, non capendo cosa stesse succedendo e perché, ha cominciato a protestare contro chi la governava.

La globalizzazione è diventata politica.
La miopia della classe dirigente è stata poi superiore all’avidità smisurata e, ormai, quello che è accaduto è sotto gli occhi di tutti, compresa le élite di Davos: la rivolta dell’1%, i partititi cosiddetti populisti da Podemos ai 5 Stelle, la rivolta dei Gilet Gialli, la sconfitta dei partiti tradizionali a ogni elezione, un abbraccio di grandi coalizioni in tutta Europa, per finire ai fenomeni più appariscenti come l’elezione (e forse alla rielezione) di Trump e infine la Brexit che rompe l’Europa.
Insomma, un disastro politico che rallenta la globalizzazione, apre gli occhi alle volontà ideologiche della Cina e mostrerebbe il declino dell’Occidente.
Del resto, all’inizio del 900, il PIL era in maggioranza europeo, con la Gran Bretagna e la Francia rispettivamente numero uno e numero due del mondo.

Dal 1970 a oggi, un osservatore attento avrebbe letto il declino delle potenze occidentali o, meglio, delle nazioni europee, grandi protagoniste fino agli anni ’90; avrebbe visto l’apice dell’egemonia degli Stati Uniti e l’inizio del suo cambiamento, avrebbe visto chiudersi il ciclo del comunismo dal ‘17 al ‘89 con il crollo del muro di Berlino, avrebbe assistito alla nascita di Internet, con le conseguenze che sono sotto agli occhi di tutti, avrebbe osservato l’evoluzione della tecnologia che impronterà tutto il 21° secolo e il mutevole e brutale cambio dei lavori; avrebbe, infine, visto la partenza a razzo della globalizzazione, che ha permesso la creazione di un terzo polo, l’Asia, nella competizione mondiale, trainata da un campione, la Cina, che, nel bene o nel male, diverrà la cifra del riassetto del mondo in questi prossimi 80 anni.

In una parola: avrebbe visto sostituire la competizione tra gli stati-nazione con quella dei poli- continenti o come li chiamo io geo-poli.
Oggi se la cantano e se la suonano solo USA, UE e Cina, con tanti affettuosi o incattiviti coprotagonisti.

Il mondo che verrà: il tentativo di Eurasia, una forte crescita debole e una sicura dirompente demografia africana.

Gli anni che abbiamo davanti hanno alcune caratteristiche per noi sconosciute: un forte aumento demografico assolutamente sbilanciato, una crescita del mondo debolo e scarsa, un pro-capite atipico, con una fortissima dose di disuguaglianza forse mai registrata, un’evoluzione tecnologica che cambierà lavori, stili e abitudini di vita.

Questi cambiamenti, inoltre, avvengono in uno scenario politico straordinariamente nuovo, che possiamo chiamare “nuova guerra fredda”, con attori diversi dal passato.
A questo si deve aggiungere un continente fuori dai radar, ossia l’Africa, che diventerà il più popoloso del mondo e le cui conseguenze di tenuta politica saranno imprevedibili.

Nel mondo ora comandano tre geo-poli: gli USA che rimangono ancora egemoni, l’Unione Europea, divisa e litigiosa e la Cina, al comando dell’uomo unico Xi Ping.
Negli ultimi anni, specie dopo l’arrivo di Trump, la globalizzazione si è interrotta o, almeno, ha avuto un primo stop.

Questa interruzione è dovuta a tante ragioni, ma la principale risiede nel fatto che la classe media occidentale si è ribellata, al grido di “Basta salassi!”.
Il mondo cresce, l’1% è gravido di ricchezze, ma la classe media non fa un passo avanti da decine di anni.

Era arrivata l’ora di smettere e al grido di dolore complessivo dell’occidente che si impoveriva, tutta la politica ha avuto un cambio di marcia.

Gli USA hanno eletto Trump, che ha avuto elettoralmente l’idea di promettere un maggior isolazionismo e una lotta dura alla Cina e all’Europa. In maniera irrituale rispetto alla politica forte ma gentile e aperturista degli ultimi presidenti da Clinton in poi.
Poi è avvenuta la Brexit e sono nati tutti i partiti populisti e antiglobalizzazione in un caos ancora tale, ma tale da aver finalmente preoccupato l’establishment.
Il nuovo via alla guerra fredda è stato quindi suggellato da Xi Ping che ha aperto una via della Seta innovativa, mettendo sul piatto, dicono, 1000 miliardi di dollari.
Questa via -o questa strada e cintura (Road & Belt )- avrebbe lo scopo di perpetuare il fenomeno delle esportazioni che hanno caratterizzato l’ascesa della Cina fino ad oggi.
La Cina è alle prese con il dover continuare ad aumentare il suo PIL per tentare la supremazia mondiale, mentre teme che i consumi interni, che sono decollati, non possano fare più di tanto. Quindi, la conquista di mercati stranieri diventa obbligatoria.
Lungo questa direttrice si svolgerà parte dello scenario politico ed economico di questo secolo. Tuttavia, lo scopo non appare solo commerciale, come continua a recitare Xi, ma anche politico: la volontà è quella di inglobare pian piano pezzi di Asia che erano della vecchia Russia, paesi nuovi come il Pakistan, forse l’India e pezzi di Europa.
Minore sarà l’invasione dell’Africa, che a detta di tutti è già cinese, ma di fatto è in blocco da un paio di anni.
L’Europa oggi sta a guardare, un po’ per debolezza intrinseca, un po’ per curare le sue divisioni interne, un po’ per riorganizzare un tessuto politico e sociale che si è combattuto per 1000 anni e che mantiene nel suo DNA tutte le diffidenze del lungo periodo.
Quindi, dei tre poli, quello europeo appare come il più debole e il più attaccabile, specie dopo che la Gran Bretagna se ne è andata per la sua strada.
Dove? Non si sa.
L’Europa rischia di essere strattonata da tutti, dagli Usa nel tentativo di romperla per farsi amici solo nazioni deboli e dalla Cina, più subdolamente, per comprarsi pezzi di stati dove comandare. Al momento l’Unione europea tiene: la commissione è stata insediata, la linea politica ambientale è corretta e la maggioranza degli abitanti è pro-Europa (meno di prima ma sempre maggioranza).

 

La demografia intanto cresce… solo in Africa.

La demografia crescerà tanto, ma è anomala: oggi siamo circa 7,8 miliardi e nel 2075 saremo 10,5 miliardi.
Bisogna considerare, tuttavia, che dei 2,7 miliardi di neonati che verranno quasi tutti (2,1 miliardi) saranno africani, mentre il poco che resta sarà composto da asiatici (specie indiani) e americani del nord e del sud.

L’Africa sta cavalcando irrefrenabilmente le nascite al raddoppio nel 2050 e al raddoppio del raddoppio nel 2100, fino ad arrivare a 4,3 miliardi di persone.

Così, alla fine di questo secolo, avremo 4 asiatici, 4 neri, 1 bianco e 1 sudamericano.

Questa cavalcata dell’Africa sarà tanto impetuosa numericamente come non lo sarà economicamente: oggi il continente vale meno del 3% del PIL mondiale (cioè poco o nulla), ma a fine secolo peserà solo il 4% con oltre 4 miliardi di persone da sfamare…
Detto in altre parole, l’Africa sarà poverissima e la sua povertà rischia di creare condizioni di instabilità per tutto il mondo, ma, soprattutto, per l’Europa, che intanto, in questi stessi anni, decresce del 20% di popolazione (con un terzo dei suoi abitanti sopra i 65 anni di età).
Insomma, l’Europa giace ricca, ma vecchia e anemica, con ai suoi piedi un gigante giovane, povero e forse arrabbiato.

Lo sviluppo demografico è stato la chiave dello sviluppo, ma da oggi non sviluppa più

Il tema di fondo è che il mondo si sta bloccando, come se avesse ultimato la sua spinta propulsiva. Se guardiamo ai meri dati, il PIL crescerà solo di 2 volte e mezza da qui al 2075, contro le 15 volte dei 50 anni passati.
È vero che cresce su una base già alta, ma è anche vero che non esiste più un continente che possa sviluppare la progressione dei passati 50 anni.

Dai numeri passiamo a un ragionamento: il mondo nei 50 anni appena trascorsi ha visto la crescita del continente asiatico, che grazie alla Cina ha messo il turbo e ha portato il PIL pro-capite asiatico da livelli di vera povertà a 10.000 $ cadauno, specie dopo il 2000, quando la Cina fu ammessa al WTO. Da allora, negli ultimi 20 anni, il PIL mondiale è raddoppiato.

Adesso l’Asia sta crescendo molto, ma non più a doppia cifra come in passato: sta cominciando a tornare a livelli normali.
L’India rimane un’incognita nello sviluppo, mentre la Cina, complice l’inizio di una demografia calante, non può più essere il booster della crescita asiatica.

E allora cosa rimane?
Rimane l’Africa.
Il continente nero, e lo vedremo nei dettagli, non può svilupparsi come l’Asia, perché più cresce in numero di abitanti, più si impoverisce.
Le ragioni sono molteplici, la maggiore delle quali è che i sistemi di governo dei 55 paesi che lo compongono per varie ragioni non sono in grado di farlo sviluppare.
L’Africa è attualmente vista come un buco nero del mondo ed effettivamente lo è.
Avrebbe mille potenzialità, dato che siede su innumerevoli e utilissime ricchezze naturali, è piena di energia sia fisica (la forza lavoro giovanile a metà secolo sarà quasi tutta solo africana), sia naturale ed è una sorgente infinita di energie rinnovabili.
Il vero problema è che rischia di restare al palo con uno sviluppo miserevole e una povertà endemica.
Adesso ci basta sottolineare che se non sviluppa l’Africa, che è quella che ha l’incremento demografico maggiore, significa che siamo arrivati a un tappo: non c’è più un continente che può sviluppare.
Finora il mondo si è sviluppato seguendo la curva demografica e PIL e demografia sono andati a braccetto per 50 anni.
Da oggi in poi, a causa dell’Africa, questa regola aurea è finita e questa fine può segnare la fine dello sviluppo come lo conoscevamo prima.

Intanto un’enormità di cambiamenti notevoli sono alle porte.

La demografia, l’economia, i PIL, il pro-capite: sono tutte conseguenze dello sviluppo o del ritardo degli individui, dei blocchi continentali, delle nazioni e della storia.
Leggere solo i numeri offre un’idea di come il mondo avanza, ma le variabili di cui tenere conto sono tantissime, troppe anche per gli economisti e, ahimé, infinite per me che scrivo.

Lo sviluppo tecnologico, l’urbanizzazione aggressiva, l’aumento delle disuguaglianze, il cambiamento dei lavori, un clima impazzito, l’invecchiamento inaudito, la classe media che non trova più requie e infine il cambio della rappresentanza politica sono tutte le metamorfosi che ci accompagneranno nei prossimi 50 anni insieme a un debole sviluppo, a un incremento demografico debordante in Africa e a una guerra sotterranea tra i nuovi geo-poli continentali.
Ma come tutti sanno, queste variabili e cambiamenti sono già in atto e il primo e più importante cambiamento è quello tecnologico.
L’avanzata della tecnologia abbraccia tutto il potenziale sviluppo del mondo, lo incarna, lo invera e lo rende possibile.
Siamo nel suo secolo e siamo agli inizi.
La mobilità avrà un fecondo sviluppo, tra auto che si auto-guidano, sensori che segnalano, batterie che non inquinano. La medicina si svilupperà all’inverosimile grazie alle biotecnologie e alle nanotecnologie e malattie oggi incurabili non saranno più tali. I monitoraggi saranno continuativi, i controlli immediati e solleciti e se stai morendo, un robot che monitorerà il tuo stato di salute te lo dirà in diretta nel tuo orecchio. Le armi saranno precisissime e letali e in mano a tanti.
Ogni area della vita umana sarà sconvolta dalla disintermediazione e dal cambiamento tecnologico: le vecchie abitudini spariranno per aprirsi alle nuove e tutto lo scibile sarà reso alla portata di tutti, che dovranno continuare a studiare tutta la vita per stare al passo.
Tutto ciò porterà con sé alcuni aspetti negativi e non secondari per la umanità: paesi che si muoveranno a doppia velocità saranno la prima conseguenza. La tecnologia costa, infatti, specie nella prima fase quando la si studia e la si testa. E i primi saranno i paesi più ricchi e più attrezzati con la conseguenza evidente che la doppia velocità creerà una disuguaglianza sempre maggiore, sia all’interno dei paesi avanzati tecnologicamente che nel confronto con quelli meno avanzati.
Per semplificare il tutto, diciamo che chi si intesta un cambiamento tecnologico di ordine mondiale guadagnerà alla grande. Gli individui del cerchio magico guadagneranno tantissimo nel proprio paese, aumentando le disuguaglianze e saranno ancora più forti di coloro che abitano nei paesi meno avanzati.
E poi il lavoro muterà completamente.
Già ora tutti noi facciamo il lavoro che spetterebbe al cassiere della banca, disperati per password che non si trovano e home page che non si caricano.
In tutto questo, cosa ne è stato del signore che era dietro allo sportello e che era responsabile del tuo conto e del tuo bonifico?
Lui è stato licenziato.
Se era giovane ha trovato un lavoro, se era nella età di mezzo ha dovuto ricorrere al reddito di cittadinanza.
Comunque andrà, il lavoro cambierà e per molti non ce ne sarà più, specie in occidente.
E poi c’è l’invecchiamento infinito e i dati in merito sono impressionanti.
La medicina farà passi da gigante, non solo nei paesi occidentali, ma anche in quelli in via di sviluppo.
In Africa, per esempio, fino a qualche anno fa non si vedeva una persona anziana per strada, perché l’età media era di 45 anni. Oggi l’età media supera i 50 anni e a fine secolo sarà sui 70/80.

Quindi, non solo vi sarà un incremento della popolazione dovuto alle nascite, ma anche dovuto alla diminuzione delle morti.
Tutto questo accadrà in paesi dove le pensioni non superano l’1% del PIL e la sanità è traballante. Altra conseguenza drammatica che non ha ancora una soluzione credibile è quella dell’ambiente. Nell’emergenza improcrastinabile del clima siamo certi che l’energia abbandonerà il fossile e il carbone per abbracciare il rinnovabile.

Tutti lo speriamo, ma la verità è che in ogni COP che si rispetti la soluzione non si trova.
Se non blocchiamo i gas serra (che peraltro sono saliti in questi ultimi anni dal cop21 di Parigi, che aveva sancito la ineluttabilità di ogni incremento) e non blocchiamo il fatidico 1,5% di aumento della temperatura, i guai sulla terra saranno immensi e potrebbero cambiare tutti gli equilibri e le tendenze che stiamo enumerando.
La classe media rappresenterà la sfida del secolo per l’occidente.
Ha subito quella che io chiamo la “teoria dei vasi comunicanti”.
L’Asia è cresciuta nel periodo della globalizzazione (90-2020) da un pro-capite di 700 dollari fino a 6.600 nel 2020 cioè più di 9 volte mentre l’occidente (Usa & UE) negli stessi periodi non cresce quasi nulla nella sua classe media lasciando sul tappeto un sacco di PIL.
Capite quindi che la ricchezza- come in un vaso comunicante- è passata dall’occidente all’oriente e badate che è stato un bene perché miliardi di persone oggi stanno meglio.
Ma in Occidente hanno perso solo quelli che facevamo parte della classe media e del reddito fisso. Ed è stato un grande male sociale, economico e politico.

Ai piedi dell’Europa giace un gigante nero…

L’Africa giace ai piedi dell’Europa con 1,3 miliardi di abitanti e con un tasso di natalità di cinque figli a donna.
Per di più è anche poverissima!
Pochi sanno che tutta l’Africa pesa meno della Francia in termini di PIL, con una popolazione che guadagna al giorno più o meno di 5 dollari.

Una situazione ai limiti della sopravvivenza, che ci fa comprendere come l’Africa sia un continente che rincorre il suo sviluppo disperatamente.
È cresciuto zigzagando negli ultimi 50 anni, passando da 1 dollaro al giorno in media ai 5 dollari di oggi: una pacchia, direbbe qualcuno!

L’Africa avrebbe bisogno di una crescita a doppia cifra come la Cina per poter sfamare tutti gli abitanti che la popolano, ma purtroppo questa condizione non è credibile né fattibile.
Il massimo incremento raggiunto è stato un 4% anno su anno, che è niente in confronto al 15-20% che faceva la Cina negli anni 90 e 2000.
Se guardiamo i dati del futuro capiamo che la crescita sarà più o meno quella di questi anni, con una riduzione maggiore nel momento in cui la popolazione crescerà di più dal 2050 in poi.

La povertà purtroppo porta maggiore povertà e l’Africa è un continente non solo destinato a essere povero, ma è anche a essere ai margini dei grandi stravolgimenti economici, bellici e di scambi.
È stato ai margini della globalizzazione, che lo ha toccato di striscio e sarà ai margini del nuovo conflitto della guerra fredda.

L’Africa viene usata e sfruttata per le materie prime, per le ricchezze infinite che possiede, ma non certo per la sua forza lavoro, che sarà immane nel futuro: quasi il 60% della forza di lavoro giovanile, infatti, sarà africana nel corso di questo secolo.
Ma cosa faranno tutti questi giovani?

Difficile a dirsi, specie se pensiamo alle trasformazioni tecnologiche, alla necessità di forza lavoro qualificata e alla robotizzazione, che sostituisce quella non qualificata di cui l’Africa sarà piena. L’Africa, vista con occhio impietoso, rischia di essere un problema per il mondo intero e soprattutto per l’Europa, con un’enfasi maggiore sui paesi che l’affacciano: Italia, Spagna, Malta, Grecia.

Il problema maggiore dell’Africa è, alla fine, prevalentemente di classe politica: la parte Nord dell’Africa è islamica e tenuta da monarchi o dittatori con pugno di ferro, mentre la parte subsahariana è governata o comandata da presidenti eletti con forme democratiche, ma metodi opposti. Essi rappresentano, con molte sfumature e nuance, piccole e ristrette oligarchie, che inglobano tutto il surplus delle loro nazioni (che nazioni ancora sono).

Questa rappresentazione, per ora sintetica, mostra l’incapacità del continente di portare avanti un’alternanza sociale nei governi simile a quella che avvenne in occidente nel 900, quando si alternavano mercato e uguaglianza. Questa immobilità costringerà i poveri a rimanere tali senza possibilità di riscatto.

Insomma, non c’è una vera e propria battaglia ricchi contro poveri: semplicemente, godono solo pochi ricchi e gli altri rimangono poveri.
Al momento non si vede un cambio all’orizzonte, tranne qualche indizio in Etiopia, in Sudan e forse in Sudafrica.
La Cina continuerà a comprare le materie prime e la terra di cui ha bisogno, ma inizia a rallentare la sua marcia di possesso per una ragione semplicissima: ha più interesse a creare i corridoi della seta via terra passando per l’Asia (più ricca e più utile ai suoi scopi di esportazione che sboccano in Europa, terra di ricchezza), che lavorare su un territorio impervio, con governanti corrotti e con una povertà endemica
Alla Cina l’Africa era servita, un tempo, per i voti all’Onu, poi per farsi i denti con le sue imprese commerciali e infrastrutturali. Ora inizia a prendere qualche distanza

Eurafrica: una soluzione realistica

Tuttavia, spesso quando si ha un problema, sempre vi è anche un’opportunità.
E l’opportunità è di creare Eurafrica: un accordo economico e politico tra Europa e Africa
Eurafrica dovrebbe divenire un mercato nuovo per il mondo sottraendo la povertà ai neri e regalando un mercato di 4 miliardi di persone a noi in cui le nostre merci e la nostra capacità trovino spazio.
Non potrebbe essere certamente una nuova colonizzazione, ma un accordo (forse non sempre alla pari) per creare un mercato, prendendo e dando.
L’Europa è ricca e sarà ancora ricca per tanti anni, ma, come abbiamo visto, è vecchia, anemica e senza figli. Ha capacità tecnologiche e industriali, forza militare, storia e cultura e conosce l’Africa molto bene, avendola depredata per centinaia di anni.

L’Africa, dal canto suo, è ricca di materie prime ed energie rinnovabili, ha terreni arabili in eccedenza, ha forza lavoro infinita, ma è povera e derelitta.
E molto concentrata: solo 14 paesi rappresentano più dell’80% del Pil africano. Non tanti quindi… Unire le forze in un disegno complessivo, creare la nostra via della seta in Africa, creare un mercato che possa spendere e un continente che cominci anche ad essere democratico sarebbe un’operazione difficile, ma vincente. Una sfida che permetterebbe all’Europa di tornare a essere il terzo geo-polo forte in mezzo ai due che lottano per l’egemonia del mondo, Usa e Cina, evitando per di più il declino.

Diego Masi
Consiglio Nazionale Centro Cemocratico