Debito

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Il primo obiettivo, senza il quale ogni impegno del Programma rimarrebbe una promessa irrealizzabile, è il rispetto dei vincoli di bilancio derivanti dal Patto di Stabilità e Crescita e dal Fiscal Compact.

A tal fine, la politica di bilancio dovrà sfruttare in modo intelligente tutti gli spazi di manovra consentiti dall’attuale quadro legislativo europeo, agendo in modo coordinato e sinergico sia sul nominatore, sia sul denominatore, del rapporto debito/PIL.

L’Italia dovrà pertanto realizzare riforme strutturali in grado di imprimere una forte accelerazione all’uscita dalla crisi, mantenendo in equilibrio i flussi di finanza pubblica – per assicurare il pareggio, corretto per gli effetti del ciclo, tra entrate e spese, richiesto dal nuovo articolo 81 della Costituzione –, nonché aggredire lo stock di debito, per ridurre il peso della spesa per interessi, prevista nel bilancio programmatico presentato dal Governo Monti in crescita dai circa 74 miliardi annui registrati nel 2011 a oltre 100 miliardi stimati nel 2015.

Per ridurre stabilmente il debito, occorre mantenere un quadro di finanza pubblica che garantisca un avanzo primario nell’ordine del 5 per cento del PIL.

Al contempo, occorre implementare il processo di valorizzazione del patrimonio pubblico e aggiornare il quadro normativo per l’attuazione di un piano pluriennale di dismissioni di quote delle partecipazioni azionarie non strategiche detenute dallo Stato, anche attraverso la Cassa depositi e prestiti, in società quotate (Eni, Enel, Finmeccanica, Terna, STMicroelectronics) e non quotate (Ferrovie, Poste, RAI, ecc..), di vendita del patrimonio immobiliare statale e di valorizzazione delle concessioni pubbliche (dai beni demaniali alle frequenze televisive). Inoltre, nell’ambito di una complessiva revisione del federalismo fiscale e alla luce della recente riforma costituzionale che ha introdotto il principio del concorso alla sostenibilità del debito per tutte le amministrazioni pubbliche, bisogna affiancare ai parametri di virtuosità previsti nel ambito del Patto di stabilità interno meccanismi atti a indurre l’effettiva dismissione degli immobili delle autonomie territoriali e la cessione delle partecipazioni azionarie nella società esercenti servizi pubblici detenute dalle Amministrazioni locali, destinando i relativi introiti alle riduzione del debito (sia di quello ad esse facenti capo, pari a circa 116 miliardi di euro, sia, in secondo luogo,  di quello statale).

Nel complesso, stimiamo di generare dai processi di dismissione, privatizzazione e valorizzazione del patrimonio pubblico entrate pari a circa 120 miliardi in termini cumulati nel periodo 2013-2018, da destinare alla riduzione dello stock di debito, nonché, nel breve periodo e in quota parte, alla liquidazione dei debiti della PA nei confronti delle aziende fornitrici di beni e servizi.

Se tali misure contribuiranno a contenere il costo del servizio del debito, riteniamo tuttavia che per abbassare lo “spread”, ancora troppo elevato nonostante i progressi compiuti, e affrancarsi da una possibile recrudescenza delle tensioni speculative sul proprio debito sovrano, l’Italia non possa permettersi di attendere i possibili sviluppi europei in tema di “eurobond” o di evoluzione del ruolo della BCE; né tantomeno attendere l’avvento di un governo politico ed economico dell’Europa su base federale.

Per ridurre la volatilità dello spread nelle operazioni di rifinanziamentoe alleggerire la zavorra dei 2000 miliardi di debito pubblico occorre agireanchecon misure volte a:

– ridurne il costo, sterilizzando il differenziale di rendimento rispetto ad analoghi titoli tedeschi;

– allungarne le scadenze, elevando la durata media dei titoli  di Stato da 6,5 a 8/10 anni;

– aumentarne (dal 60 all’80%) la quota detenuta da investitori domestici, istituzionali e non, sul modello del Giappone.

A questi fini, le opzioni strategiche che proponiamo – da abbinare alla ricetta tradizionale, ma niente affatto semplice da realizzare, della valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico – consistono nel lancio di nuova tipologia di titoli del debito pubblico a un tasso d’interesse analogo a quello dei titoli tedeschi, la cui sottoscrizione verrebbe incentivata dalla previsione di una completa esenzione fiscale sui relativi rendimenti, nonché dalla revisione dei regimi d’imposizione patrimoniale e dall’applicazione di un’imposta sui patrimoni superiori a 2,5 milioni di euro.

In particolare, prevediamo:

  • l’introduzione dell’esenzione totale dall’imposta sostitutiva sui redditi da capitale e da ogni forma di imposizione patrimoniale sui cespiti finanziari per i sottoscrittori residenti di nuove emissioni speciali di Buoni del Tesoro Poliennali, della durata minima di 10 anni, che il Ministro dell’economia e delle finanze sarebbe autorizzato ad emettere alla pari con un tasso annuo di rendimento sensibilmente inferiore a quello di mercato (è ipotizzabile un rendimento eguale al tasso riconosciuto per analoghi titoli tedeschi, oppure indicizzato al tasso di crescita del PIL, con minimo garantito e tetto massimo);
  • e il contestuale riordino delle attuali diverse fattispecie impositive di natura patrimoniale (su immobili e attività finanziarie detenuti all’estero, prelievi sui capitali “scudati”, barche, velivoli, auto di lusso, ecc.) in un’unica imposta progressiva sulle grandi ricchezze, attribuendo al contribuente, come opzione alternativa al versamento del prelievo di natura patrimoniale, la facoltà di sottoscrivere, per un importo pari a un multiplo del valore del prelievo, i speciali BTP di cui sopra.

Tale operazione, che potrebbe essere introdotta in via sperimentale, non configura, come da taluni pur suggerito, un prestito “forzoso”, quanto piuttosto una sorta di prestito “indotto”, assistito da un regime fiscale premiale, che potrebbe dare un segnale importante ai mercati della volontà dell’Italia di coinvolgere cittadini e istituzioni in una grande operazione di nazionalizzazione del debito e avere riflessi indiretti anche sui tassi d’interesse delle emissioni ordinarie, generando risparmi rilevanti da utilizzare per abbatterne lo stock e rilanciare la crescita.

In ogni caso, tale iniziativa va inquadrata nell’ambito di un vasto disegno riformatore, focalizzato a elevare il potenziale di crescita dell’economia italiana; crescita senza la quale gli impegni adottati per la riduzione della quota del debito pubblico eccedente il 60 per cento del Pil per un ventesimo all’anno in media degli ultimi tre anni non sarebbero pienamente sostenibili, né dal punto di vista economico e finanziario, né, tantomeno, sul piano del mantenimento della coesione sociale e territoriale.