Leo Mastrototaro (CD): Trivelle Sì, Trivelle NO, come si può esprimere una consapevole volontà senza conoscere?

Così come viene posta l’informazione ed il dibattito sul Referendum del 17 Aprile rischia di creare gravi dubbi o peggio ancora incomplete comprensioni in tutti coloro che si recheranno a votare il cosiddetto Referendum anti-trivelle.

Posto che non saremo chiamati a votare quali e quante perforazioni saranno permesse in maniera assoluta nei nostri mari, poiché su questo tema esiste già una normativa assai rigorosa che vieta categoricamente qualsiasi nuova perforazione entro le 12 miglia dalla costa, ritengo sia utile ed opportuno approfondire la questione di per sé specificatamente tecnica.

Bisognerebbe quindi domandarsi: “Cosa andremo a decidere?”

Noi cittadini andremo a decidere semplicemente se le imprese che già estraggono gas o petrolio in mare, entro le 12 miglia dalla costa (più o meno 20 km), possano continuare ad operare fino all’esaurimento del giacimento (già esistente) oppure fino al termine della concessione.

In buona sostanza: se il referendum dovesse passare, solo le piattaforme situate entro le 12 miglia dalla costa verranno smantellate allo scadere della concessione senza poter utilizzare pienamente tutto il gas od il petrolio del giacimento. Dobbiamo ricordare che per la cessione definitiva dell’attività di estrazione bisognerà aspettare la scadenza della concessione.

Ma come funzionano queste concessioni?

Queste concessioni non sono altro che permessi rilasciati dallo Stato alle compagnie che hanno una durata iniziale di 30 anni, prorogabile poi una prima volta per 10 anni ed una seconda e terza volta per 5 anni. La prima effettiva chiusura di una trivella avverrebbe quindi fra 2 anni, l’ultima di fatto nel 2034.

Secondo il Ministero dello sviluppo economico, attualmente nei mari italiani sono presenti 135 piattaforme e teste di pozzo. Di queste 92 si trovano entro le 12 miglia. E’ doveroso sapere che, da questi ultimi pozzi (quelli a rischio con il referendum), si estrae principalmente metano. Le trivelle entro le 12 miglia, nel 2015 hanno contribuito al 28,1 % della produzione nazionale di gas e al 10% di quella petrolifera. E’ dunque così chiaro che se si dovessero progressivamente arrestare queste produzioni, l’Italia sarebbe costretta ad esborsi di denaro all’estero e ad incrementare le importazioni di idrocarburi da altri Stati come Egitto e Libia che tra l’altro perforano nello stesso Mediterraneo.

La questione economica sull’eventuale chiusura dei suddetti campi petroliferi abbraccia anche una delicata questione di carattere sociale: quella della perdita di posti di lavoro. Si stima che in Italia l’attività estrattiva di idrocarburi dia occupazione a 10 mila persone, 29 mila se si calcolano gli addetti dell’indotto esterno. Non si può, quindi, trascurare un problema politico e sociale così importante e che genererebbe una situazione dannosa per tutti.

Ho parlato dei problemi economici che l’eventuale chiusura arrecherebbe al sistema industriale del nostro Paese ma tengo sempre ben a mente l’importanza prioritaria ed assoluta della protezione del pianeta e del suo futuro ambientale. A tal proposito una delle soluzioni maggiormente auspicabili ed affini al tema in questione è proprio l’utilizzo di energie non inquinanti. Si parla, infatti, già da un po’ di anni di Italia Rinnovabile che nel confronto europeo è uno dei Paesi che ha spinto di più sullo sviluppo delle energie cosiddette pulite. Solo nel 2015 le fonti alternative hanno soddisfatto per il 17,3% dei consumi nazionali di energia, raggiungendo con questo risultato in largo anticipo l’obiettivo fissato dall’Unione europea del 17% entro il 2020.

In questa direzione condivido appieno la proposta fatta dal Professor Prodi ovvero quella di utilizzare le royalties (versamenti di somme di denaro da parte di chiunque effettui lo sfruttamento di detti beni con lo scopo di poterli sfruttare per fini commerciali) che le imprese energetiche pagano per lo sfruttamento dei giacimenti (352 milioni di euro nel 2015) per finanziare lo sviluppo delle energie alternative.

La mia analisi è rivolta a tutti coloro che in questo scenario così confuso ed ampiamente strumentalizzato credono di aver preso una posizione ragionata nei confronti del referendum.

Su queste mie riflessioni che mi portano a dire NO a questo referendum auspico ad un’Italia capace di importare meno petrolio e meno gas e allo stesso tempo precorritrice nella trasformazione del sistema energetico volto a cambiare il trend a favore di fonti d’energia compatibili con l’ambiente, che proteggano in maniera coscienziosa gli interessi del nostro Paese e delle nostre imprese.