Giustizia e Legalità

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Una giustizia che funziona è condizione essenziale per la tutela dei diritti dei cittadini, per un sistema capitalistico efficiente e per una società equa.

Queste finalità non sono adeguatamente assolte dal sistema giudiziario italiano, che costituisce uno storico tallone d’Achille del nostro Paese, che genera alti costi in termini civici ed economici.

In Italia i processi sono troppi, lenti e farraginosi.

Il contenzioso pendente civile è nell’ordine di 5 milioni di cause; il numero di processi avviati per abitante è doppio rispetto a quello della Francia, cinque volte superiore a quello della Danimarca e dieci volte superiore a quello della Svezia. La durata media di un giudizio civile d’appello è arrivata nel 2010 a quasi tre anni, con punte di quattro. Nello stesso anno, la prescrizione nel settore penale – che registra circa 3 milioni e mezzo di cause pendenti –  ha interessato oltre 140 mila procedimenti.

Il processo penale è vissuto dai suoi attori come una rincorsa a conseguire o a evitare la prescrizione del reato; gli imputati tendono più a difendersi “dal” processo che “nel” processo. L’organico della magistratura ordinaria non è ancora tutto coperto. Il restante personale addetto all’amministrazione giudiziaria è insufficiente o impiegato in modo inefficiente. Il processo d’infrastrutturazione informatica e digitalizzazione dei procedimenti non è ancora decollato. I cittadini sono sfiduciati, le aziende penalizzate e gli investitori esteri scoraggiati.

Oltre ai costi sociali, l’arretratezza del sistema delle tutele giudiziarie ha un impatto negativo rilevante sulla crescita del prodotto, poiché incide sul clima di fiducia degli operatori, alterando le relazioni commerciali e deprimendo gli investimenti e la stessa crescita dimensionale delle imprese.

Per affrontare il problema bisogna ricondurre l’efficienza e l’efficacia del servizio giustizia al centro dell’azione di Governo, investendo energie per valorizzare un asset fondamentale per il recupero di competitività del Paese.

Le recenti iniziative intraprese in tema di accelerazione del processo civile, tribunale per le imprese e lotta alla corruzione, non risolvono i nodi del sistema in termini attese di giustizia, civile e penale, e di contrasto all’illegalità. A tal fine occorre anzitutto prendere atto che a distanza di venti anni dall’avvio delle inchieste di Mani Pulite non si è ancora riuscito a spezzare il circolo vizioso che lega – attraverso la zona grigia delle connivenze, delle infiltrazioni, dell’evasione e del sommerso – la criminalità economica, la corruzione e la criminalità organizzata.

Anzi, nella lotta alla prima si sono compiuti sostanziali passi indietro, eliminando, di fatto, il falso in bilancio e gli altri delitti contro l’economia; la lotta alla corruzione ha ricevuto una risposta tardiva e largamente insufficiente con la legge approvata nei mesi scorsi; soltanto la lotta al crimine organizzato ha registrato un qualche progresso, grazie anche alle misure per l’informazione antimafia e la prevenzione patrimoniale. Bisogna invece agire per rafforzare in modo sinergico tutte queste attività, modificando le fattispecie delittuose, potenziando l’impianto sanzionatorio e mettendo in rete strumenti e risorse investigative.

Quanto alla “irragionevole” durata dei processi – che ha causato all’Italia la condanna in innumerevoli ricorsi presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – occorre in primo luogo semplificare i riti e introdurre misure per la deflazione del contenzioso.

Nel processo civile va valorizzato lo strumento della mediazione, intesa come “alternativa” alla giustizia (ossia confronto tra interessi, non controversia sui diritti) e non come una giustizia alternativa di secondo rango. Sul piano organizzativo, ferma restando l’esigenza di rafforzare la strumentazione informatica e di digitalizzare tutte le fasi del processo, occorre prevedere presso ogni ufficio giudiziario l’istituzione di un organismo manageriale che organizzi il lavoro secondo il metodo della programmazione e della efficiente ripartizione dei tempi e delle risorse, tecniche e umane. Deve essere ulteriormente ristretto il novero delle cause appellabili e deve essere resa effettiva la sanzione per le liti temerarie. Il Tribunale delle imprese, allo stato istituito solo in forma di sezione specializzata, deve essere potenziato e dotato di strumenti propri e agili; lo stesso assetto potrebbe essere esteso in altri ambiti, favorendo la specializzazione dei magistrati, istituendo, ad esempio, il tribunale della famiglia.

Nel processo penale, oltre a una nuova disciplina delle intercettazioni, che va resa coerente con il diritto alla privacy, occorre riequilibrare il rapporto tra garanzie ed efficienza, in parte abusato in nome del malinteso principio costituzionale del giusto processo. La vittima del reato deve tornare al centro del processo penale; i termini di prescrizione devono essere ampliati e vanno scoraggiate le pratiche dilatorie. La cooperazione giudiziaria internazionale deve essere intensificata e occorre dare maggiori poteri ad Eurojust.

Infine, per una Giustizia giusta il superamento dello stato di inciviltà e illegalità delle carceri – in termini di condizioni strutturali e sovraffollamento – deve costituire una priorità assoluta.

La questione in Italia è abnorme, come testimoniano anche i recenti moniti dell’Unione europea. Occorre destinare maggiori risorse finanziarie per l’ampliamento e l’ammodernamento degli stabilimenti e investire nella formazione degli addetti (dirigenti e polizia penitenziaria). L’esecuzione della pena va ricondotta ai principi costituzionali di rieducazione, umanità e dignità, attraverso interventi mirati volti a favorire pene diverse dalla detenzione per la gran parte dei reati diversi da quelli contro la persona, anche ampliando l’utilizzo di strumenti quali il braccialetto elettronico per la detenzione domiciliare, facendo al contempo maggiore ricorso al mondo del no profit per la gestione delle pene alterative al carcere. In chiave di rieducazione e umanità della pena l’esperienza del carcere di Bollate dovrebbe costituire un modello per tutte le prigioni.