Europa

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Il Centro Democratico crede che un futuro prospero per l’Italia possa realizzarsi solo all’interno della cornice europea e che ogni pulsione antieuropeista fa male al paese e disonora le nostre stesse radici storiche, culturali e religiose.

Cionondimeno, non possiamo far finta di non accorgerci che l’Unione europea è ancora purtroppo percepita da larga parte degli italiani solo come una tecnocrazia inflessibile, che assume le vesti di un guardiano severo dei nostri conti pubblici.

Una tecnocrazia che chiede continuamente sacrifici agli italiani, assolutizzando la dimensione della disciplina di bilancio e del rispetto di rigide regole sul deficit, il debito e la spesa pubblica.

Tale percezione non è del tutto priva di basi oggettive, poiché, almeno fino a pochi mesi fa, l’obiettivo di costruire un’Unione europea unita, solidale e democratica, capace di assicurare una crescita economica sostenuta, sostenibile e inclusiva, promuovere la competitività e potenziare l’occupazione, è stato posto in secondo piano rispetto a una logica monetarista, tesa esclusivamente a ripristinare la stabilità dei mercati finanziari sulla base di ricette di politica economica improntate al rigore e all’austerità di bilancio.

Ricette che hanno contribuito ad attenuare, in via emergenziale, il circolo vizioso, all’origine dell’attuale crisi, tra finanza privata e debiti pubblici, ma che non hanno impedito la caduta in una profonda recessione dell’economia dell’eurozona, con tutte le conseguenti ricadute sul piano sociale.

Di fronte a questa realtà, essere europeisti non significa, per noi, aderire acriticamente a tutti gli indirizzi che hanno sinora governato i processi decisionali dell’Unione.

Noi riteniamo, infatti, che nel corso della crisi economico-finanziaria siano emerse tutte le fragilità della costruzione europea:

a) sul piano politico, perché l’Unione ha reagito in ritardo e in modo ondivago al contagio che aveva colpito paesi come la Grecia, mostrandosi, agli occhi del mondo e dei mercati, come un insieme di Stati nazione privi di un vincolo solidaristico e di una solida architettura istituzionale e finanziaria;

b) sul piano economico, perché l’UE, nel tentativo di superare le turbolenze sui mercati e le tensioni sui debiti sovrani, ha imposto ai paesi membri più fragili, tra cui l’Italia, l’adozione di manovre di consolidamento dei conti pubblici drastiche e accelerate, che in prima battuta hanno inibito il potenziale di crescita del prodotto e amplificato tendenze recessive già in atto. Manovre che sono state invocate senza tenere adeguatamente conto del fatto, evidenziato da recenti e qualificati studi di politica economica, che soprattutto per le economie in recessione e che registrano, come l’Italia, elevati oneri sul debito pubblico, sono di gran lunga preferibili aggiustamenti dei conti morbidi e graduali, rispetto a risanamenti aggressivi concentrati nel breve periodo, poiché in questi casi la chiave del successo del risanamento è favorire la crescita del prodotto, che è il comune denominatore dei parametri di finanza pubblica.

Noi crediamo che questa impostazione, politica ed economica, dell’Unione europea, non abbia agevolato una più rapida uscita dalla crisi e che l’Italia abbia pagato in termini di spread i timori degli operatori finanziari relativi alla tenuta dell’euro, ovvero alla possibilità che l’Unione europea, prigioniera degli egoismi degli Stati nazionali,  rinunciasse a una moneta unica e si frammentasse in un continente a diverse velocità.

La speculazione finanziaria che ha colpito il nostro Paese nel novembre del 2011 non è derivata da una congiura internazionale orchestrata da chissà quali oscuri poteri forti, ma è il frutto di un freddo calcolo, che ha condotto gli operatori ad aggredire le parti marginalmente più deboli di un sistema politico, istituzionale ed economico – l’UE – che nel complesso non è percepito come coeso e solidale e in cui si sente la mancanza di forti istituzioni politiche, democraticamente legittimate e presidiate una banca centrale che assuma funzioni di garanzia e vesti di prestatore di ultima istanza, sul modello della Federal reserve statunitense.

Per queste ragioni noi crediamo che oggi sia quanto mai necessario rilanciare, con molta più ambizione, il cammino dell’integrazione europea, per costruire una vera Unione politica, economica, fiscale e monetaria.

I recenti progressi compiuti con l’introduzione del Semestre europeo e il rafforzamento della governance e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri e la vigilanza comune del sistema bancario, vanno consolidati e affinati, ma occorre avere chiara la prospettiva di medio termine.

All’avvio di una più intensa e comune disciplina di bilancio – determinato dalla riforma del Patto di stabilità e crescita, dalle nuove modalità di sorveglianza multilaterale e coordinamento delle politiche (i c.d. “six pack” e “two pack”) e, da ultimo, dall’approvazione del c.d. Fiscal Compactdeve corrispondere, simmetricamente, l’impegno di tutti gli Stati membri a proseguire sul sentiero dell’unificazione delle politiche e di una maggiore solidarietà.

Il nostro Paese non può accettare di cedere ulteriori spazi di sovranità se non all’interno di un progetto politico complessivo e condiviso di superamento delle logiche intergovernative e di rilancio dell’Unione europea su basi federali, volto a conferire una piena legittimazione democratica alle sue Istituzioni e a dotarle di nuovi strumenti operativi per l’attuazione delle politiche di bilancio, monetarie, fiscali, per la condivisione dei rischi, per la difesa comune, la coesione sociale e la sostenibilità ambientale.

La prospettiva degli Stati Uniti d’Europa, guidati da istituzioni scelte da cittadini e sostenute da una solida e autorevole banca centrale, è l’unica via percorribile non solo per sterilizzare gli attacchi speculativi sui debiti sovrani dei singoli Stati, ma, soprattutto, per preservare il modello sociale europeo e rilanciare, in tutto il continente, una crescita sostenibile e duratura.

In assenza di questa prospettiva, l’Italia si ritroverebbe, nei prossimi anni, a dover semplicemente negoziare con le burocrazie europee, entro margini contabili sempre più ristretti, la propria politica economica e di bilancio, e anche il colore dei governi di volta in volta eletti perderebbe di significato, non potendo imprimere il proprio originale indirizzo politico.

Per evitare che ciò accada occorre fin d’ora impostare le basi di un lavoro costituente della nuova Europa, che dovrà essere portato a compimento nella prossima legislatura, per far si che il nobile obiettivo dell’Unione di diventare un’economia intelligente, sostenibile e solidale, indicato nella Strategia Europa 2020, non rimanga scritto solo sulla carta.

Nell’immediato, il consolidamento dell’Unione economica e monetaria presuppone non solo che ne sia completata l’architettura, ma anche che siano perseguite politiche di bilancio differenziate e volte a promuovere la crescita. A tal fine, compatibilmente con il principio del pareggio di bilancio, che dal 2014 assumerà una valenza costituzionale, il Governo che noi sosterremo dovrà far valere maggiormente in sede europea le ragioni dello sviluppo e della coesione sociale, sfruttando tutte le possibilità offerte dal vigente quadro normativo dell’UE per:

a) armonizzare la disciplina di bilancio con l’esigenza di far ripartire investimenti pubblici produttivi nei settori delle infrastrutture, della formazione, della ricerca, dell’innovazione e della cultura, escludendo dal computo del saldo rilevante ai fini del rispetto del Patto di stabilità e crescita e dall’aggregato di riferimento della regola sulla spesa, tutte le nuove spese destinate a tali finalità;

b) negoziare la possibilità, a fronte di un quadro congiunturale ancora recessivo, di discostarsi temporaneamente di almeno un punto percentuale dal proprio obiettivo di medio termine – ossia il pareggio di bilancio in termini strutturali – per realizzare una grande riforma strutturale del sistema tributario – da discutere ex ante con le istituzioni UE – volta ad allargare le basi imponibili e ridurre le aliquote, per rilanciare consumi e investimenti e ridimensionare l’evasione fiscale e contributiva, con la previsione di un contestuale piano di rientro e di un meccanismo automatico di reversibilità dell’intervento qualora dallo stesso non discendessero gli esiti attesi in termini di crescita del prodotto e di mantenimento del gettito;

c) ottenere la facoltà, in particolare per sostenere il Mezzogiorno e le altre aree sottoutilizzate, di istituire ulteriori zone franche, di introdurre forme più estese e differenziate di fiscalità di vantaggio e di utilizzare in modo più flessibile i fondi strutturali europei;

d) negoziare la possibilità di escludere temporaneamente ed entro determinati limiti dalla nuova regola del debito le passività connesse alle garanzie statali accordate a banche e istituzioni finanziarie, quali ad esempio la Cassa depositi e prestiti, per la concessione di finanziamenti per l’attuazione di investimenti ambientali e macro progetti di sviluppo sostenibile, in particolare nei settori dell’energia e del ciclo delle acque e dei rifiuti.

Queste richieste prioritarie, coerenti con la Strategia Europa 2020, dovrebbero essere avanzate subito dall’Italia in sede comunitaria, senza sbattere i pugni, ma a testa alta e con la consapevolezza di presentarsi con tutte le carte in regola: con un bilancio in pareggio strutturale e stabilizzato nel breve come nel lungo termine, anche grazie alla sostenibilità del suo sistema previdenziale e all’introduzione nella Costituzione del principio dell’equilibrio tra le entrate e le spese; con un sistema bancario assai più solido rispetto a quello di altri paesi; con un patrimonio pubblico molto vasto, un debito privato, di famiglie e imprese, inferiore del 20 per cento alla media europea, e un livello di ricchezza netta privata che è il quadruplo del suo debito pubblico e tra i più alti delle economie avanzate; con un sistema produttivo fatto di migliaia d’imprese, con una forte vocazione all’export, e con nicchie di eccellenza che tutto il mondo ci invidia nell’innovazione e nella ricerca scientifica e tecnologica.

L’Italia non deve avere paura di far valere le proprie ragioni e di difendere un interesse nazionale che è perfettamente compatibile con quello dell’Europa. Ed è su queste fondamenta, ideali e programmatiche, che vogliamo riaffermare il prestigio e la leadership dell’Italia per una nuova Europa in un mondo che cambia.